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Focus: Certificazione Vegan Society



Probios da quest’anno ha iniziato la collaborazione con “Certification Europe Italia” per ottenere la prestigiosa certificazione “Vegan Society”, in diversi prodotti.
Incontriamo il dott. Marco Menonna, che si occupa della gestione tecnica dello schema di certificazione, per farci spiegare come nasce questa associazione che dal 1944 si batte per far conoscere ai consumatori il mondo vegan.

La Vegan Society è la prima associazione che nel 1944 coniò il termine “vegan”, come nasce questa prestigiosa realtà?

Il termine “vegan” è stato effettivamente coniato nel 1944 con la nascita della “Vegan Society” ma, nella sostanza, il veganismo ha una storia molto più datata. Tanto in Oriente, con alcune elaborazioni buddiste, quanto in Occidente (dove si è recentemente indagato sulle abitudini alimentari dei grandi filosofi e pensatori dell’antichità: su tutti la più nota è forse la dieta di Pitagora), ci sono prove di come fosse già stato tracciato il percorso verso una dieta che escludesse non solo il consumo di carne animale ma anche dei prodotti derivati, in particolare del latte. Di pari passo con l’urbanizzazione e la nascita della cosiddetta “società civile”, molte tendenze sociali sono state progressivamente istituzionalizzate e riconosciute in gruppi e associazioni. Non è un caso che la prima associazione vegetariana sia nata a Londra circa alla metà dell’800. Il veganismo, così come lo conosciamo adesso, è nato solo nel 1944, quando la proposta di Donald Watson di creare un coordinamento tra “vegetariani non consumatori di latticini” venne respinta dalla Vegetarian Society, portando Watson a fondare la “Vegan Society”, dove il termine vegan altro non è che la contrazione del temine vegetarian.

In Italia la certificazione viene gestita dalla Certification Europe Italia: che tipo di controlli vengono fatti sui prodotti e nelle aziende che scelgono di certificarsi?

La Vegan Society è una organizzazione senza scopo di lucro, e, in quanto tale, pur dandone gli indirizzi e pur avendo una enorme esperienza teorica, non dispone delle competenze adeguate per poter procedere a una vera e propria attività di certificazione. Per questo che si è avvalsa della Certification Europe Italia srl che è un vero e proprio ente di certificazione, nonché parte di un gruppo internazionale con esperienza e accreditamenti per poter operare certificazioni in molti settori economici. Quando si è chiamati a certificare un’azienda, non si controlla semplicemente che la produzione sia conforme al momento della verifica, ma viene richiesto che lo sia in tutti i momenti, soprattutto in quelli in assenza di controlli. In pratica: se un’azienda dichiara di utilizzare solo aromi vegetali per le proprie produzioni, una verifica scrupolosa farà il controllo anche delle fatture di acquisto relative a questi aromi.

E ancora: una verifica di certificazione andrà a verificare anche che, presso lo stabilimento di produzione, sia diffusa la conoscenza della scelta vegana. Conoscere le motivazioni di base porta al rispetto delle scelte e all’impegno anche da parte di chi vegano non è, di impegnarsi al massimo per rispettare gli standard ed eliminare, ad esempio, il rischio di contaminazione.

In cosa consiste la certificazione? Quali sono i parametri che un prodotto o un’azienda deve rispettare?

Gli standard di cui parlavo prima sono effettivamente molto semplici, perché semplice è la scelta vegana che li ha dettati. Lo standard richiede che, tanto per la produzione quanto per lo sviluppo del prodotto, non vengano utilizzati ingredienti che abbiano coinvolto o coinvolgano l’utilizzo di prodotti, sottoprodotti o derivati di animali. Inoltre, viene richiesto che, ogni volta che sia applicabile, l’utilizzo di ingredienti non abbia coinvolto in maniere diretta o indiretta alcun tipo di sperimentazione sugli animali.

Perché la certificazione ammette tracce involontarie di latte e uova?

È un discorso puramente tecnico, che e non può essere affrontato senza fare riferimento alle questioni di sicurezza alimentare. Il disciplinare di Vegan Society non richiede che ci siano stabilimenti di produzione dedicati alle produzioni vegane. Questo comporterebbe dei costi elevatissimi di produzione tali da scoraggiare chiunque a proseguire sulla strada della riconversione degli impianti. I costi elevati si ripercuoterebbero su un numero minore di prodotti registrati venduti sul mercato a costi più elevati. Il marchio avrebbe di conseguenza una minore diffusione e renderebbe la vita più difficile ai consumatori. Nei casi in cui la produzione non è dedicata viene tuttavia richiesto dalla Vegan Society, un impegno severissimo nel controllo della cosiddetta “contaminazioneincrociata” (cross contamination), che può garantire il prodotto dal punto di vista etico. Tuttavia, pur facendo tutto il possibile per controllare, ridurre e minimizzare le contaminazioni, non si può eliminare del tutto il rischio, che esiste anche per le contaminazioni cosiddette ambientali. La dicitura “prodotto in uno stabilimento che utilizza anche […]” oppure “Può contenere tracce di ... “ sono diciture che servono a tutelare e a mettere in guardia coloro che, per questioni di salute, non possono venire a contatto con determinati ingredienti, se non per quantità al limite della rilevabilità strumentale (in alcuni casi si parla di parti per milione). In definitiva: il marchio Vegan Society, completato con i servizi di verifica di Certification Europe Italia garantisce che il sistema di controllo dei rischi di contaminazione sia severamente pianificato e attuato e che il suo risultato sia efficace. Tuttavia non può garantire che l’assenza di tracce minime derivanti da contaminazioni involontarie sia pari a zero: in quel caso è necessario uno stabilimento dedicato oppure un sistema di analisi specifica su tutti i lotti di produzione, cosa altrettanto onerosa.

Qualche dato sulla diffusione del marchio Vegan Society in Europa e nel mondo? E qualche dato sul “popolo vegan”?

Analizzare dal punto di vista statistico le scelte etiche e alimentari della popolazione non è facile: le stime parlano di una percentuale di popolazione vegana che si aggira intorno all’1% in Italia. C’è da considerare tuttavia una percentuale aggiuntiva di persone (amici, colleghi, familiari, ecc…) che stando accanto a coloro che si dichiarano vegani diventano comunque possibili fruitori di un prodotto vegano. Abbiamo inoltre tutta la fascia di vegetariani, ambientalisti, consumatori attenti alla salute e/o agli aspetti etici che sono in forte crescita. Va inoltre detto che un prodotto vegano è, in molti casi, anche compatibile con diverse prescrizioni alimentari legate ad aspetti religiosi.

Per quanto riguarda il marchio, in assenza di una definizione a livello internazionale, europea o nazionale di regole per la definizione di prodotti vegani, sono nate miriadi di marchi differenti, che rischiano di confondere i consumatori. Certification Europe Italia ha scelto di collaborare con la Vegan Society perché ne ha riconosciuto da un lato l’autorevolezza storica e morale e dall’altro per rafforzare il lavoro già fatto per diffondere l’originale marchio con il girasole. I dati internazionali sulla diffusione del marchio sono impressionanti e vanno di pari passo con quelli sulla diffusione e con la normalizzazione della scelta vegan all’interno della nostra società: il numero di registrazioni raddoppia costantemente ogni due anni. Quello che è più interessante è come la crescita di prodotti registrati si stia spostando sempre di più fuori dalla Gran Bretagna e come le nuove richieste di registrazione derivino sempre più spesso da prodotti europei ed extraeuropei (oltre la metà del totale). Purtroppo non disponiamo ancora didati specifici per l’Italia, ma possiamo dire che l’interesse è molto alto, sia da parte deiproduttori che da parte dei consumatori.